Occhi grandi, sorriso abbagliante, mani forti che stringono con gentilezza. Appena entrato a scuola, Abdisamad ringrazia per l´opportunitá di poter raccontare ai ragazzi la sua storia di immigrato fuggito dalla Somalia.
Ora vive a Castelrotto, frequenta un corso di mecatronica, adora scrivere testi di canzoni nella sua lingua. Sogna un futuro tranquillo, un lavoro, amici, niente di straordinario. Dopo aver rotto il ghiaccio con gli studenti rispondendo alle loro domande, inizia un racconto drammatico che, in chi lo ascolta, non lascia spazio a divagazioni o interruzioni.
Con voce pacata inizia il suo viaggio ed il nostro: le scariche di mitra negli orecchi fin dall´infanzia (e il pensiero continuo “prima o poi toccherá a me”), la decisione di scappare con degli amici dalla Somalia a 15 anni, la cattura da parte di un gruppo di terroristi legati ad Al Quaeda e la prigionia in Yemen, il coma dopo i pestaggi subiti nelle prigioni del Sudan, i feriti o i disubbidienti abbandonati sulla sabbia durante la traversata del deserto, le notti insonni nel lager libico, la paura di non risvegliarsi, la sete perenne, le parole talvolta confortanti e talvolta disperate degli amici e poi i loro visi emaciati, gli occhi grigi dei cadaveri, la notizia del suo imbarco verso l´Italia, la delusione per la mancanza di posto, la repressione dei ribelli, trecentocinquanta amici partiti ed affondati, finalmente il suo turno dopo anni di sevizie, l´imbarcazione che si riempie di acqua, la perdita della speranza “adesso posso anche morire perché ho provato in tutti i modi ad arrivare fin qui”, la fortuna di essere salvato dalla guardia costiera. Lui ride, noi sguardo fisso e silenzio.
“Sono un ragazzo fortunato. Sono qui. Ho un futuro davanti. Non capisco il senso delle guerre che devastano il mondo.” Semplici concetti difficili da realizzare.
Daniela Lanzerotti